Questa sera mi sono trovato a raccontare ad una persona come è stato il viaggio in Francia e, mentre lo facevo, mi sono reso conto dello stupore che questa persona aveva nei confronti del mio modo di viaggiare.
Io non so come viaggiano gli altri motociclisti. So che in passato, quando andavo a visitare una località con i viaggi organizzati, mi fermavo un paio di giorni in una grande città e ne studiavo ogni aspetto. Quando sono andato in Francia, vuoi per il tempo, vuoi per i soldi, vuoi per la voglia di girarla, mi sono fermato assai poco nei luoghi e ho guidato. Questa cosa stupisce il viaggiatore che non considera il viaggio come “itinerante” (sembra un controsenso).
Viaggiare, intendo proprio spostarsi continuamente, è una forma di viaggio che ti fa vedere ed apprezzare altre cose. Cose probabilmente più piccole, non presenti necessariamente sui libri di storia o sulle guide ma, a mio avviso, ugualmente importanti. Inoltre, viaggiare in questo modo, ti mette a contatto con te stesso. Ti domandi perché vivi certe emozioni in una determinata maniera, cosa ti affascina, regoli il tuo tempo in base a tanti fattori. Insomma, viaggiare in modo “itinerante” è molto…molto intimo.
Quando sono andato in Francia e ho vissuto l’uragano che poi si sarebbe abbattuto sulla Liguria (ecco il racconto della giornata), pensavo che non sarei sopravvissuto. Ve lo dico con tutta l’onestà del mondo: vedere l’acqua che si solleva da terra, il navigatore impazzito, l’asfalto che si smotta sotto le ruote e la visibilità ridotta a due metri di distanza, vi fa capire che siete nei guai. Grossi guai. Così, quando un’ora e mezza dopo sono arrivato a St. Maximin, ero talmente felice da mettermi a piangere dalla gioia. Era un piccolo centro di campagna, niente di rilevante. Quel giorno c’era un mercatino di chincaglieria varia ed io, arrivato fradicio, mi ero lasciato un’ora e mezza di grandine e gelo alle spalle. Intorpidito, infreddolito, fradicio ma vivo. Ricordo la sensazione di aver attraversato quel paesino, di aver apprezzato il traffico che teneva impegnate le mie gambe. Di aver frugato con lo sguardo tra le bancarelle piene di inutilità e di aver sfiorato centinaia di vite impegnate in un’ordinaria giornata, ignari di ciò che era successo a meno di quaranta minuti da loro.
Un’ora dopo, nel bel mezzo di una lingua di asfalto che tagliava un campo di girasoli, tirai i freni alla modica temperatura di ventisette gradi. I pantaloni erano ancora umidi. Scesi dalla moto, levai il casco, e attesi qualche minuto ripensando a tutti quei volti, a quella grandine, a quella paura di non farcela. Ad oggi non ho più visto una perturbazione così forte.
Ecco, queste sono le emozioni che si vivono durante un viaggio “itinerante”. Sono fatte dal contatto con gli eventi, con se stessi, dalla sensazione di fragilità che ti accompagna nella terra straniera.
Magari non saprai descrivere l’importante monumento presente nella grande città (che forse neanche avrai visitato) ma avrai sempre stampato a fuoco ciò che hai vissuto in ciascun chilometro che avrai percorso, perché te lo sarai sudato e ne avrai respirato ogni metro cubo di aria. E quella cosa non ha prezzo.
Non è un modo migliore di viaggiare… è un modo diverso di viaggiare.
C’è chi lo definisce un modo “spirituale”, io non mi spingo a tanto, benché consideri la spiritualità un viaggio. Penso che sia solo un modo diverso per entrare in contatto con se stessi e con il paese che ti ospita.