Quello che sto raccontarvi è successo oggi ed è una storia incredibile. Incredibile come non se ne sentono spesso. Oggi era l’ultimo giorno di viaggio e siamo partiti alla volta della Tremola e del passo della Furka. Per motivi di privacy non farò nomi, non pubblicherò le foto ma vi lascerò immaginare…
La tremola (chiamata così perché la strada è piena di sampietrini) sale vertiginosamente e senza parapetto, per oltre 1700 metri, finendo sulla sommità della montagna dalla quale prendere il passo della Furka. La mattina, prima di partire, nel controllo quotidiano della moto, ho notato che la catena era piuttosto lasca. Il sospetto che andasse sostituito il kit catena-corona-pignone, mi era venuto fin da Roma ma in BMW non avevano detto nulla al riguardo. Con un certo sospetto e con un certo timore, ci siamo messi in marcia. Laura non può immaginare cosa si provi a sentire, ad ogni cambio marcia, uno strappo accanto alla gamba destra. Ebbene, mentre salivamo sulla tremola ad un certo punto, dopo un tornante, ho sentito uno strappo. La catena, chiaramente, aveva perso per un istante il grip. La cosa non era buona, assolutamente. Sia perché era pericoloso, sia perché a oltre 1700 metri che cosa potevo trovare?
Proseguiamo lungo il Furka continuando a salire tra paesaggi magnifici e una desolazione non indifferente. A 2400 metri la catena scivola nuovamente. La situazione diventa seria, io trasporto Laura, la moto è carica di bagagli, insomma la situazione sta diventando difficilmente gestibile. Iniziamo a scendere lungo il ghiacciaio del Rodano, ogni tornante è un incubo. Mi fermo e chiedo ad un tedesco se ha le boccole per allentare la ruota posteriore. Niente non le ha. Non ha idea di come aiutarmi. Laura non sembra allegra (la situazione è veramente seria credetemi). Devo trovare un modo per tendere la catena ed evitare danni. Gli ultimi 30 km sono stati fatali, la catena pende ovunque, sopra, sotto, scivola sul pattino, tocca il cavalletto centrale. Un disastro. Siamo in mezzo al nulla e devo inventarmi qualcosa. Iniziamo a scendere e, per non tirarla, uso più i freni che altro. Le moto che incontro (turistiche di alto profilo) sono tutte a cardano che, per chi non lo sapesse, è un meccanismo che sostituisce la catena. Laura mi domanda se non posso chiedere ad altri motociclisti ma io vedo le moto e capisco che sarebbe praticamente inutile.
Improvvisamente l’occhio mi cade su un cantiere. Stanno costruendo qualcosa che eviterò di specificare, parcheggio lì e chiedo se per caso parlano italiano e possono aiutarmi. Subito si fanno in quattro per cercare le chiavi per sbloccare la ruota e, con pazienza, sono riuscito a registrare la catena portando i registri a 7 tacche (per chi non sa cosa vuol dire, significa che la catena è arrivata…deve essere cambiata come sostenevo fin dal principio).
Eppure uno di loro, mi racconta una storia. Una storia che state per leggere, una storia da tenere in considerazione. Dietro quegli occhi brillanti e lo sguardo segnato da polvere, lavoro e dalla vita che ti spezza le gambe. Mi racconta di aver vissuto in Italia nei pressi di Verona. In quel periodo, a causa di un incidente, suo figlio di 9 anni muore e lui, devastato dalla notizia, si chiude nel suo lutto. Ma la gente del posto gli sta dietro, lo aiuta a riprendersi e lo fa sentire in famiglia. I suoi occhi brillano quando, dopo una breve pausa, mi fa “Italiani, sono bella gente”. Tra me e me sorrido, sono orgoglioso. Quell’uomo così alto e con quegli occhi buoni, ora un po’ lucidi. Ci stringiamo la mano ma lui mi guarda in modo strano. La sensazione è che riveda suo figlio o qualcosa di lui. Mi dice di aspettare, mi regala due chiavi inglesi. Io rifiuto, sono disposto a pagargliele ma lui mi sorride, mi dice che ne ordinerà delle altre, che aiutare le persone è importante ed io, per la prima volta da quando sono partito, mi sono sentito finalmente in viaggio. Sì, avete capito bene, senza una meta (perché il programma era saltato), con poche certezze e, per la prima volta, a contatto con l’essere umano, quello vero, quello che piace a me. Ci salutiamo ma la stretta di mano non mi basta, vorrei abbracciarlo ma sono concentrato su Laura, che di suo sta reggendo bene. La moto cambia radicalmente, più affidabile, più reattiva. Perfetto, tutto può proseguire eppure improvvisamente nel casco sbotto a piangere.
No, non era lo scarico di adrenalina. È che ripenso a quell’uomo, a suo figlio, al significato delle sue parole vere, apparentemente generiche, ma che se sovrapposte alla sua vita, prendevano un senso di una profondità pazzesca. Penso alle due chiavi inglesi nel mio bauletto. Due oggetti semplici. Il viaggio improvvisamente cambia. Ci troviamo fermi ad un’area di sosta, c’è una specie di ponte tibetano. Laura vuole fare delle foto ma prima deve mangiare, lo stress per lei è stato notevole. Forse quasi quanto il mio che, oltre alla responsabilità del mezzo, sento anche quella della sua incolumità. Mi chiede che cosa ho ma io vorrei piangere e penso a tutte le volte che ho letto su altri blog di motociclisti aiutati da sconosciuti. Non ultimo proprio Totò Le Motò. Lei capisce e mi propone di portargli una tortina che aveva comprato. Il tempo sul Furka sta peggiorando ma io manderei all’aria tutto pur di fare questa cosa. Annuisco e ripartiamo fermandoci a metà strada a comprare altri dolci. Il tempo peggiora, cade qualche goccia ma per Dio non mi fermerei neanche con un tornado. Il GS macina asfalto grazie alla generosità di quell’uomo. Quando torniamo al cantiere lui vede Laura e me, io nascondo i dolci dietro alla schiena. Lui allarga le braccia come sospettasse che abbiamo avuto un altro problema. Io tiro fuori la busta e lui…lui si imbarazza e ci viene incontro. Non vuole accettare ma io gli dico che non me ne andrò di lì fino a quando non accetterà i doni e Laura gli dice che siamo tornati appositamente. Non resisto, lo ringrazio e finalmente lo abbraccio. Odora di calcinacci è un uomo buono, mio padre mi ha sempre insegnato il valore del lavoro: ha ragione. Questa persona vale tanto, fa il suo lavoro con passione. Per un istante si commuove. Poi ci allontaniamo un secondo perché io gli chiedo una foto e gli dico che mi piacerebbe mandargliela. Mi porta nel suo ufficio, mi spiega il suo lavoro. Lo fa con passione, mi racconta della sua vita ed io sono lì estasiato dalla grande umanità. Ci salutiamo, stiamo per ripartire ma lui improvvisamente dice una cosa che cambierà tutto. Reggetevi forte. Mi propone di far detonare delle cariche di esplosivo poste sotto la montagna. Normalmente l’operazione l’avrebbe fatta lui ma sotto la sua supervisione potevo farlo io. Che ve lo dico a fare…via il casco, via i guanti, Laura ed io ad osservare il cantiere che veniva svuotato e poi finalmente, la cassetta rossa, come la vedreste nei film. Quella con la manovella. Il responsabile infila lo spinotto. Carica l’innesco, mi guarda e dice, “Gira”.
Uno…due…tre tuoni forti provengono da dentro la montagna. È festa, abbraccio il responsabile, abbraccio il mio nuovo amico e tra i saluti generali torniamo al ghiacciaio del Rodano con la consapevolezza che il viaggio è questo oltre che tutti gli alberghi e le mete turistiche. Tornante dopo tornante auguro il meglio a quell’omone e sorrido all’idea dell’esperienza appena fatta. C’è un po’ di me e Laura nella realizzazione di quell’imponente progetto che migliorerà la vita di tanta gente. Oggi è stata una bella giornata sapete? Bella davvero.
Siamo tornati in Italia, il nostro viaggio in Svizzera si è concluso. Grazie a coloro che hanno letto assiduamente il blog. Grazie a mia zia per il tifo (lei è un’istituzione).Stiamo bene, più umani di quando siamo partiti, più sereni, e con la consapevolezza che indipendentemente dalla nazionalità, dietro l’apparente timidezza iniziale, spesso ci può essere un gran sorriso. Auguro a questa persona tutto il bene del mondo. Di lui conserverò le due chiavi inglesi ed il ricordo di quel sorriso buono. Grazie.
Racconto avvincente. Storia incredibile. Belle le chiavi inglesi. Credo che dopo Laura sia stata molto meglio.E anche tu. DL