Quello che è successo oggi difficilmente può essere dimenticato, soprattutto quando a rischio c’è la tua vita. L’indicatore della temperatura segna 34 gradi. La campagna è un forno e dal terreno si è sollevato un polverone bianco per colpa di un’automobile dalla guida un po’ troppo sportiva. Mi sento accaldato, il ginocchio mi duole, le cicale non lasciano tregua alla cantilena.
Partito di buon mattino mi sono recato in località Sant’Eutizio per fare i giro nei dintorni. Tra strade sterrate dal fondo compatto, chiesette e madonnine abbandonate in incroci assolati, la mia giornata stava proseguendo sicuramente meglio di come era iniziata.
Un riverbero fastidioso indica, in lontananza, la direzione da percorrere. Mi guardo indietro mentre il motore inesorabile borbotta e vedo solo una lingua di terreno sterrato bianco e brullo come non se ne vedono nemmeno nei film western. Cristo che caldo; prendo coraggio e faccio scattare la prima dirigendomi verso quel riverbero incandescente.
Tra due file di alberi mi ritrovo a galleggiare su ghiaietti, buche, sabbia venuta da chissà dove desiderando solo una cosa: dell’acqua perché, come era prevedibile, oltre al caldo si ed andata a sommare anche l’arsura. La gola graffia ad ogni deglutizione neanche fossi raffreddato.
Una goccia di sudore si fa strada dalla fronte verso il basso bagnando parte del casco e arrivando dentro l’occhio sinistro. Sono allo stremo della stanchezza, sarà per i pensieri, per l’anno infernale, per il caldo o per tutte queste cose assieme.
Verso le 11:00 mi fermo a Soriano nel Cimino, nella piazza, dove ho comprato un pranzetto con i fiocchi al negozio mobile di “Settimio e figli”. Provate la sua porchetta e il suo prosciutto crudo montagnolo.
A quel punto deciso di raggiungere nuovamente la faggeta accessibile presso il lago di Vico ma la situazione era destinata a cambiare irrimediabilmente. Qualche chilometro fuori Soriano, il navigatore mi fa svoltare per una strada che presto si rivela sterrata e dal fondo dissestato e non compatto. Avevo appena superato un trattore quando mi sono reso conto che l’inversione mi sarebbe stata impossibile. Lo stesso trattore si era rotto ostruendo la strada del ritorno. Nove chilometri di salita di cui penso che mi ricorderò a lungo.
Tra strade spaccate e mezze franate, specchi d’acqua profondi, terreni inceneriti fa vecchi incendi nei quali le ruote sprofondavano, solo un’enorme tenacia e gli insegnamenti del Cerrone mi hanno permesso di desistere dall’idea di mollare lì la moto che tra l’altro montava anche solo uno dei due bauletti laterali.
Quaranta minuti di pura tensione in cui il GS non si è mai spento e ha, sicuramente, ammorbidito le mie rigidità. Siamo stati bravi entrambi ad uscire da lì nonostante la sabbia, le frane, le brecce sul terreno, i rovi e gli alberi caduti.
Ora, che sono qui in faggeta a mangiare i prodotti di Settimio, mi rendo conto bene che lì sopra ci sarei potuto anche rimanere e che mantenere la calma anche in quelle situazioni è l’unico modo per venire fuori.
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Il tracciato nero è la strada moderna, mentre l’altra è quella che ho fatto io.