Ho deciso di provare a raccontarvi cosa si prova durante un incidente in moto dalla dinamica del pilota. Credo sia importante e possa chiarire alcuni aspetti che seguono il sinistro.
In un attimo senti che la moto s’inclina e che la situazione non sarà recuperabile. Improvvisamente la moto è così pesante nei suoi 198 kg e mentre senti che stai per toccare l’asfalto l’unica cosa che riesci a pensare è, generalmente, una parolaccia o un’imprecazione. Io ho pensato qualcosa del tipo “ci siamo”….ma non ho fatto in tempo a chiudere il pensiero che un botto sordo e metallico mi ha scaraventato a terra e la prima cosa che ho sentito è stata la caviglia girare.
Lo stivale ha fatto il suo dovere facendo tornare il piede a posto e l’articolazione in sede mentre pensavo “lussazione”; l’avambraccio strusciava a terra e dalla visiera vedevo l’asfalto così vicino che potevo baciarlo. Nel frattempo la moto è sparita dal campo visivo, di lei resta il rumore di plastica e metallo che struscia per terra si allontana e l’unica cosa a cui si pensa è che la moto possa fermarsi senza invadere l’altra corsia o fare male a qualcuno.
Alla fine tutto cessa, il corpo smette di grattare sull’asfalto e la moto anche. Il corpo si gira un’ultima volta e gli occhi si aprono fissando il cielo e per un momento che sembra lunghissimo, si prova la sensazione di rimanere lì perchè tutto è tranquillo e le fronde ondeggiano pacificamente ma dura poco.
“Devo alzarmi, qualcuno potrebbe venirmi addosso in uno dei due sensi…potrei avere qualcosa di rotto devo sapere”
E così ci si alza come se si fosse stati picchiati: barcollanti e un po’ frastornati. Lo sguardo si sofferma sulla moto che giace a terra e il cervello inizia a fare una simulazione dei potenziali danni e dei potenziali costi mentre con gli occhi ci si guarda intorno come se si fosse lì per la prima volta, come se si fosse stati teletrasportati un secondo prima. La gente inizia a scendere dalle auto, in particolare un ragazzo che era sceso aveva iniziato a guardarmi come un alieno.
Mi rendo conto che è spaventato e nell’auto la sua ragazza non ha tolto la mano davanti alla bocca aperta in segno di stupore e paura. Alzo la visiera e fisso lui che mi chiede se sto bene, rispondo dicendo sì e gli dico di non preoccuparsi mentre mi rendo conto che i ricordi sulla dinamica cominciano ad affiorare: caviglia, braccio…devo sbrigarmi prima che il dolore riaffiori. Vado dalla moto e la alzo facendo la roulette russa sul ginocchio ma i 198 kg mi sembrano al più come 20 kg. Devo rimettermi in marcia prima che l’adrenalina sparisca perchè so di non aver sbattuto la testa e so di non avere niente di rotto ma non riesco a sentire i danni.
Il ragazzo continua a fissarmi i pantaloni e faccio scendere lo sguardo: un buco all’altezza del ginocchio, Cristo era quello malandato. Ok, lo tocco e vedo che è in sede e che la rotula è stabile. Mi rendo conto che qualcosa non va con il guanto e penso che le dita possano essersi rotte ma è impossibile perchè ho chiuso la mano a pugno. Rivedo l’incidente riavvolgendo i ricordi come una vecchia VHS, tuttavia è meglio verificare. Controllo e vedo che una parte del guanto si è lacerato seguita dalla mia pelle, c’è un sassolino conficcato a metà nel taglio della mano ma a parte questo tutto funziona, muscoli e tendini sono operativi. Stacco il sassolino e salgo in moto accendendo il motore per controllare che tutto sia a posto.
Riparto cercando di mantenermi lucido ma non ho difficoltà a farlo, la testa sta bene e anche io. Tra poco comincerò a sentire il dolore. Arrivo a casa e mi rendo conto che potrei cadere appena la gamba toccherà terra e quindi metto il cavalletto con cautela e scavallo.
La gamba regge ma il mio amico mi guarda con preoccupazione, mi dice che gli sembro pallido. Fanno 4 gradi e il freddo incamerato dai pantaloni è stato sufficiente da farmi da anestesia. Gli dico di non preoccuparsi e di prestarmi cerotti e disinfettante che mi rattopperò in un attimo. Dieci minuti dopo gratto lo sporco dalla mano cercando di far uscire il sangue nel lavello mentre il ginocchio butta fuori quello che deve, lui ha un capogiro e gli dico di non preoccuparsi. Sua moglie mi tampona il ginocchio e mi rendo conto che, nonostante il sangue, sono due stupide abrasioni: niente di rotto. Al più una lussazione leggera alla caviglia ma non è il momento di togliere lo stivale.
Ricevo le prime due telefonate, le persone al di là del telefono sono state informate e non riescono a parlare in modo coerente. Non sanno cosa chiedere, cosa dire, cosa fare e mi trovo a dirgli di non preoccuparsi e, mentre sono al telefono, butto giù una tachipirina che mi garantirà un rientro tranquillo.
Il corpo diventa pesante, difficile da muovere, e io provo quella sensazione sgradevole di essere ostile a me stesso. Ringhio tutte le volte che mi alzo o mi metto a sedere, trascino la gamba che non ha la minima voglia di collaborare, mi chiudo in bagno e mi siedo sul bordo della vasca.
Mi spoglio nudo per controllare di non avere altro e faccio un raffronto con la giacca alla ricerca di danni. Continuano i messaggi “…che cazzo dici? Oddio che devo fare?” e io capisco che neanche a 60 anni la gente impara a non essere emotiva. Tutti preoccupati e nessuno che fa la domanda più semplice: “mi fai una stima dei danni?”
Sono in piedi, parlo, sono coordinato, cammino sulle mie gambe, non ho problemi cerebrali, articolari, muscolari ma le persone sono nel panico e mi tocca ripetere “sto bene, tranquillo. Sto bene, tranquilla.”
Cristo io ho fatto l’incidente ma devo rassicurare gli altri e lì capisco la solitudine del motociclista.
Scegli un mezzo e dal primo giorno ti senti fare la cronaca degli incidenti. Quando lo fai tu, non ti stanno accanto ma sei tu che devi stare accanto a loro. La verità è che il motociclista è solitario per natura.
“Ehhh queste moto sono pericolose” non è che dicono “la perdita d’acqua che ha ghiacciato sulla strada è davvero pericolosa per tutti”.
Torno a Roma e mi trascino a casa, mi medico lanciando i vestiti in giro per casa. Stacco cerotti, pulisco sangue, faccio il cambio mentre agli auricolari ho un amico motociclista che, guarda caso, fa le domande giuste.
“Ti serve qualcosa? Dai, resisti che non hai niente di serio da quanto mi hai detto. Coraggio, al mio tre strappa il cerottone dai…depilazione!!!”
Per come sono fatto io mi urta quasi ma ammetto che provo comprensione. Suona il campanello e apro in mutande e cerotti.
È mio fratello che, guardandomi sbieco fa il secondo commento: “mi sembra non ti sia fatto un cazzo, meglio così…”. Entrano altre persone mentre io continuo ad essere in boxer e cerotti e vorrei starmene tranquillo ma devo tranquillizzare tutti che non finirò sulla sedia a rotelle. Porca puttana, dovrei essere tranquillizzato io…
Tolgo uno dei due cerotti: la ferita ha buttato fuori il siero ed è simil-gel e lì c’è il fuggi-fuggi. Finalmente qualcuno mi domanda se mi servono cerotti speciali: ecco, ora si comincia a ragionare, 7 ore dopo…meglio tardi che mai.
Sono grato a tutti quelli che hanno mandato un messaggio, un pensiero, fatto una telefonata ma vorrei spiegarvi qualcosa. Un motociclista non sceglie di cadere, non sceglie di scivolare su una strada ghiacciata. Un motociclistica è una persona che non può permettersi il lusso della paura dopo un incidente ma vorrebbe abbandonarsi alle cure e alle attenzioni di chi gli sta vicino. Vorrebbe farlo perchè è umano ma sa che non può farlo. Non siate arrabbiati per l’incidente, non siate ostili e non fatevi rincuorare. Cercate di ricordare sempre che dall’altra parte c’è qualcosa che merita la vostra attenzione anche se non ve la chiede esplicitamente.
Detto questo a me è andata bene per fortuna, per scarsa velocità e abiti tecnici. Per indole non amo farmi “curare” ma questo non significa che ami badare agli altri in situazioni come quelle. Ringrazio la vita per avermi reso freddo e randagio fino al midollo.