Quando sabato mattina ho caricato la moto con qualche straccio per appoggiarmi sul prato, non avrei mai immaginato che mi sarei trovato in un’avventura davvero particolare, completamente immerso in un luogo meraviglioso. Lasciate che ve la racconti.
A dispetto delle altre gite, questa qui è partita dalla via Tiberina, una strada che non avevo mai fatto e che immerge il pilota nella natura fin dai primi chilometri. Che i romani sapessero come e dove costruire le strade lo avevo capito, ma la Tiberina mi ha stupito per le sue curve morbide e la sua natura folta e colorata (complice anche il mese primaverile).
Il percorso è stato molto gradevole e semplice fino alla diga del lago del Salto. Si tratta di una diga veramente bella da visitare data la scarsità del traffico e l’intelligente posizionamento delle piazzole panoramiche. Il posto è suggestivo, ve lo garantisco. Lo vedete nelle foto. Dopodiché è iniziata una salita sempre con più tornanti e curve strette fino a Petrella Salto…
Da lì si prende un bivio verso sinistra che porta ad una salita sempre più ripida. La strada inizia ad essere poco curata. Ci sono ciottoli di pietre per terra, l’asfalto è rotto ma qualcosa mi spingeva a salire tornante dopo tornante. Non c’era il minimo segno di automobili. Al massimo qualche piccolo trattore parcheggiato ma nessuna traccia di essere umani.
Arrivato alla sommità, davanti ad un panorama mozzafiato, mi si è aperta davanti una landa pianeggiante tipica del miglior film western e al centro, snodata in un numero imprecisato di tornanti, c’era la mia strada. Lentamente ho iniziato la discesa in questa vallata, costeggiando distese compatte di prati e sassi. Sotto un cielo a volte illuminato e a volte nuvoloso. Più passavano i chilometri e più mi addentravo all’interno di questa vallata ma cominciavo ad avere fame e i pochissimi (2) agriturismi che ho incontrato erano chiusi. Quasi senza accorgermene, le pianure hanno lasciato il posto ad un fitto bosco di conifere. Vi assicuro che non vi saprei dire quando è avvenuto il cambio di vegetazione. È stato tutto troppo naturale.
Una discesa piacevole mi ha riportato al villaggio di S. Lucia dal quale ho raggiunto la Tracerna di Rascino. Dieci panche di legno, con tavolini vuoti gestita da una signora e suo padre (o così pare). Un vecchio dallo sguardo vivo e l’indole tranquilla.
Smontare dopo svariate ore di viaggio è sempre piacevole. A parte me, il rumore del vento ed il silenzio di quel vecchio, non c’era altro. Mi guardo intorno, poi lo osservo e faccio la mia domanda.
Qui si mangia giusto?
Lui annuisce tirando la sigaretta. È seduto dentro un’utilitaria, nella solitudine più totale. Getta via il mozzicone e mi accompagna.
Sei solo?
Sì
Fino qua giù?
Solo sono andato anche più lontano…
Mi porta davanti a due porte in legno. Come quelle di un magazzino. Non ci saremmo più parlati. Spalanca quelle due porte e mi fa entrare nella sala da pranzo. È semplicemente spoglia ma si affaccia sulla landa pianeggiante in modo meraviglioso.
Sfilo la giacca con le protezioni mentre mi guardo intorno. C’è solo una coppia: lei gioca con il palmare appena comprato a fare delle foto a lui. Lui invece sembra non gradire queste attenzioni. Mi siedo a media distanza. L’uomo silenziosamente mi apparecchia il tavolo con una tovaglia in tessuto a scacchi. Mi porta dell’acqua, del pane e sparisce. Lentamente arrivano dei piatti. Salumi, poi due primi, due secondi, dolci e così via…solo che ad un tratto, a circa metà pranzo, succede qualcosa.
La porta si spalanca ed entra un vecchio di circa ottant’anni.
Buona giornata a tutti. Vieni cara…
Fa entrare la moglie e lentamente studia il posto ad alta voce.
Uh guarda c’è un giovane avventore, la moto deve esser sua. Sembra non voglia esser disturbato…e guarda lì! Franz! Francesco!! Ti ricordi di me?
Ve la faccio breve. Tutto il pranzo si sono messi a parlare di un certo signor Antonio che, con il fratello, pareva avessero una forza tale che una volta Antonio ha ammazzato un asino a cazzotti. Però non è tanto questo il punto, quanto il fatto che il signor Antonio, era solito trovare escamotages per non pagare i conti ai ristoranti e generalmente esordiva così.
Scommetti che ti mangio i pedalini?
Così, pur di non pagare il conto al ristorante, il signor Antonio faceva indigestione di calzini e cravatte che tagliava e divorava senza esser mai sazio. Ovviamente, faceva notare il narratore, era un soggetto curioso ma la cosa più curiosa è che Arnaldo (il vecchio narratore) sapeva che Francesco (l’altro che mangiava) e Antonio si conoscevano in quanto Antonio era suo padrone di casa (un palazzetto di Cento Celle costruito nel 69 e in cui Francesco era andato a vivere nel 70).
Il mio pranzo è andato così: trascorso a sentire storie improbabili del “sor Antonio” impegnato in strane avventure, o imprese improbabili.
Uscito dalla tracerna c’era ben poco da fare. Gita al lago di Rascino, steso il telo sul prato e ho riposato qualche minuto. E poi, ovviamente, ho ripreso la strada a ritroso. Vi lascio alle foto e vi raccomando di analizzare anche il link del percorso.
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