Il viaggio è quasi finito e pensavo che fare la strada al ritorno non avrebbe mostrato sorprese e invece qualcuna c’è stata. Ora vi racconto…
Questa mattina non mi andava di partire. A Cannes non ho molto da fare, sono piuttosto provato e devo riposare per il viaggio di domani perchè, al 90%, non prenderò l’autostrada ed attraverserò il confine attraversando tutti i paesini. Tuttavia mi sono messo in marcia intorno alle dieci per sfruttare un po’ di fresco. Uscire da Arles per tornare a Cannes è stato stimolante. Esco dalla stanza con tre borse, il casco, l’armatura addosso e arrivo agli ascensori. Una bambina con lo sguardo viso mi guarda e fa alla mamma:
Mamma! Hai visto quanto è grosso il signore?
Sono un motociclista – rispondo sorridendo – Questa è la mia armatura!
Sì…più o meno come ho detto io! Sei grosso!
Sorrido davanti alla logica inobiettatbile di una gnoma di pochi anni che se ne frega delle protezioni e valuta tutto in poche e chiare parole. Nel parcheggio mi passa davanti una macchina di francesi appena usciti dal parcheggio. I bambini si appiccicano al finestrino a salutare. Lascio cadere una borsa e ricambio il gesto. Tutto questo vi assicuro non fa che rendere più difficile l’idea di andarmene ma alla fine la borsa è stretta nelle cinghie a cricchetto ed il GS mi fa capire che può partire, così lentamente mi avvio verso i confini della città. Ho la tipica postura riposata, come quella che vedete nei film western solo che i motociclisti mettono una mano (la sinistra) su una coscia e se ne vanno calmi calmi per la loro strada.
A pochi chilometri dalla città mi fermo a fare una foto ed, immediatamente, si affianca un grosso BMW K1200 con due persone sopra. Lui, un po’ bolso, mi chiede qualcosa che non capisco , l’altro è un ragazzino. Sono padre e figlio e presto capirò che sono spagnoli. Si sono fermati quando mi hanno visto sulla corsia laterale perchè tra motociclisti si fa (o si dovrebbe) fare così. In uno spagnolo tentennante spiego che la moto sta bene, e anche io, che mi sono fermato a fare delle foto al campo eolico e lui, giustamente, mi guarda interrogativo. Che ci sarà in un campo eolico vero? Per me tanto. Comunque lo ringrazio, ci facciamo una risata e lui riprende la marcia lasciando che io vada avanti per sincerarsi che tutto fosse tranquillo come avevo detto. Facciamo circa cento metri assieme e poi lui scatta in avanti rombando come un pazzo e salutando di nuovo. Mi stavo giusto domandando come mai tanta apprensione quando, circa quindi minuti dopo, mi sono reso conto del motivo. Marciavo con calma sulla corsia di destra di una strada in cui non c’era quasi nessuno, il sole era bello alto e non c’era un filo di vegetazione nè a destra, nè a sinistra. In sostanza sembrava di stare in una sorta di steppa argentina se non fosse stato per i continui cartelli che, in francese, ricordavano le prossime uscite. Non c’erano negozi, non c’era benzina, non c’era cibo, non c’era acqua. Non è così brutta come sembra, credetemi, anzi è molto piacevole. Certo, io viaggiavo con il serbatoio pieno, le scatolette di tonno dentro la mia borsetta e una bottiglietta d’acqua. Ma se non avessi avuto niente di tutto questo e fossi stato in panne? Tra motociclisti è importante salutarsi e fermarsi, fatelo sempre. È un segno di civiltà che può davvero aiutare chi è in difficoltà.
Proseguii a lungo sulle strade proposte dal navigatore quando, come è consuetudine qui in Francia, dovetti fare i conti con una rotonda popolata da decine di auto che, come macchinette impazzite, cercavano di avere la meglio l’una sull’altra. Era pura follia, credetemi. Per evitare due auto che si stavano per scontrare, decisi di imboccare un’uscita volutamente sbagliata, confidando nella capacità del navigatore di ri-pianificare il percorso. Mi ritrovai così in un piccolo comprensorio di villette a schiera, molto silenzioso. Case bianche, finestre gialle, vialetti di accesso che tagliavano prati all’inglese. Il classico paesino che vedremmo in televisione: luminoso e pulito. Era nascosto dietro un piccolo assembramento di alberi e non era visibile dalla strada. Vi assicuro che mi ha dato una così tanto piacevole impressione di tranquillità, che stavo valutando di fermare il motore lì e prendere un caffè. La curiosità del viaggio ha prevalso e sono andato avanti inesorabilmente fino a vedere il fatidico cartello che aspettavo: St. Maximin.
Lo ricordate? È il posto dove arrivai subito dopo la grandina. Fradicio, intirizzito, distrutto, ecco quello solo che ora il sole splendeva e gli uccellini cinguettavano. Sono riuscito così a vedere ciò che avevo scorso poco e male tra la grandine e la pioggia. St. Maximin è il classico paese ai piedi di una zona montuosa, tetti spioventi, architettura in pietra e una basilica che avrei voluto vedere se ci fosse stato meno caos per la strada. La cosa che colpisce di St. Maximin è la frenesia con cui il traffico si forma: essenzialmente c’è un traffico molto più elevato del numero delle case. Non so come spiegarlo è quasi innaturale. Continuai la mia strada sorridendo al fatto che qualche giorno prima arrivai sullo stesso tragitto ma in ben altre condizioni fisiche e scoprii il paesaggio nascosto dalla pioggia. Potrei definirlo sempre più montuoso, nei pressi del Frejus, veramente gradevole e dai colori accesi. Alberi di conifere avevano preso il posto del deserto e prati verdeggianti risaltavano al sole. Ogni tre per due salutavo il motociclista di turno che passava (qui si salutano tutti…giustamente) e mi guardavo intorno affrontando le innumerevoli e fastidiose rotonde in cui i francesi si buttano senza diritto di precedenza e senza senso. Tutto ciò è andato avanti fino a quando il mio corpo ha retto.
Dopo tre ore di guida la schiena chiedeva pietà. La cervicale non mi dava tregua e così, in mezzo alla fatidica e stupenda strada DN7, decisi di prendere un’uscita laterale che avevo notato all’andata e da cui avevo scattato una foto. La DN7, come vi avevo annunciato, mi è stata raccomandata da una persona sul sito. È una sorta di strada che passa tra le montagne ma la vegetazione a volte ricorda più quella tipica dei canyon americani. È particolare, non è paragonabile ad una strada delle montagne italiane. Le foto vi aiuteranno a capire forse. Piena di tornanti di ogni tipo, con asfalto ben fatto, senza buche ma…senza protezioni. Se sbagli…paghi e vai giù. Certo sbagliare è difficile ma la stanchezza gioca brutti scherzi e la schiena mi faceva male quindi, per non aspettare una delle aree di sosta che non sapevo quando avrei incontrato, sono uscito in quella via laterale. La situazione è stata questa: strada sterrata, in fondo uno slargo con una macchina parcheggiata senza nessuno dentro. Tutto intorno silenzio. Non ha senso. Chi abbandonerebbe un auto lì? Scavallo dalla moto dopo aver fermato il motore e scopro che quello spiazzo apre il cammino ad una passeggiata per turisti della durata di 3 ore. La curiosità sale ma alzo la testa verso il sole e penso che non è il caso di lasciare moto e bagagli lì mentre cerco di fare oltre 10 Km tra strade sterrate (vestito con l’armatura e gli stivali). Sgancio l’attrezzatura e comincio a camminare intorno allo spiazzo. Noto che non c’è molto campo telefonico, quindi ne approfitto per rilassarmi e mangiare qualcosa. La scena è piuttosto triste, come potrete notare dalla foto. Vi assicuro che la solitudine è un bene se presa nelle giuste dosi. Avere il tempo per restare in silenzio e ascoltare il mondo è qualcosa che oggi manca. Immancabile il pensiero all’esperienza vissuta a Col de Belein.
A parte me e la mia scatoletta di tonno, non c’era nessun altro in zona. Nella strada sottostante, invece, si alternavano motori di moto e macchine. Pranzai con calma, cercando un po’ d’ombra senza successo e usai uno dei sacchetti dell’immondizia comprati all’andata, per raccogliere gli scarti (la scatoletta). Su questo punto vi prego di seguire un consiglio. Comprate sempre dei sacchetti d’immondizia, costano poco e vi permettono di trasportare quegli scarti che altrimenti dovreste gettare all’aria: è un peccato, non si fa e, tra le altre cose, sarebbe pure un reato.
Il riposo era servito a poco ma almeno avevo avuto un po’ di tregua al collo. Riallacciata l’attrezzatura sono arrivato fino in albergo dove, tra le altre cose, ho avuto un po’ da discutere per i problemi con la carta di credito rassicurandoli sul pagametno e sull’accaduto. Uscito a fare due passi (perchè fermo non ci so stare), scopro che dietro l’albergo c’è una piccola cappella: la Cappella di San Cassien e decido di recarmici rigorosamente a piedi. È dentro un vasto giardino molto tranquillo. Alcune famiglie stanno pranzando con uno di quei tavoli componibili da campeggio. Una coppia di innamorati sta parlando ci non so cosa e ho immaginato che, appena tutti se ne fossero andati, la Cappella di San Cassien sarebbe stata luogo di “messa incinta” a giudicare da come la baciava. Vabbè, bando ai dettagli, la cappella era chiusa: e sì, amarezza. Anche perchè era così tanto chiusa che era impossibile fotografarla.
A questo punto domani tornerò in Italia. Ora inizio a fare la pianificazione del percorso e valuto bene il fattore meteo che, qui al nord, sembra creare qualche proeccupazione. Ci aggiorniamo questa sera per una conferma sul percorso. Vi lascio alle foto, restate sintonizzati!