La trattoria al limite della notte

Ma come ve la spiego la bellezza di un viaggio fatto al tramonto mentre una palla infuocata si nasconde dietro i tralicci elettrici abbandonati in un campo scottato dal sole. La luce bollente, che mi aveva accompagnato per oltre duecento chilometri, alla fine era scesa lasciando spazio alle tenebre che avevano iniziato ad inglobare tutto ciò che incontravano.

Stanco e spossato mi sono ritrovato in una trattoria a mangiare, mentre il vecchio titolare di circa 85-90 anni spiegava ad un giovane tedesco la bellezza della sua Giulietta parcheggiata davanti al locale. Il giovane era sinceramente ammirato da quelle linee sobrie ed eleganti.

La moglie invece conosceva tutti e con fare materno salutava e chiedeva se avevi mangiato.

«Ciao Paole’, hai mangiato? Ti preparo qualcosa?»

Ne ha sfamati pochi la signora, dietro la montatura degli occhiali squadrati e il viso segnato da una vita forse poco simpatica. Erano tutte donne nel locale: funzionava come un orologio svizzero.

Ero sudato come non mai e il vino bianco frizzante non aiutava. Lì per lì quel veleno mellifluo va bene ma poi ti fa grondare e la strada da fare era ancora tanta. Più che altro dovevo salire di altri 250 m.

È la classica situazione in cui si trovano spesso i motociclisti. Una trattoria aperta per tre tavoli, una luogo immerso nel buio più totale che domani potrebbe anche non esistere più. Eravamo tutti al limite della notte, mentre quelli del tavolo accanto continuano a sussurrarsi «ma non ti sei rotto il cazzo di tutto questo?»

Caffè, conto e rimonto in sella. Davanti a me una strada deserta e buia. Dietro le luci affettuose della trattoria. Si, avevano ragione, eravamo al limite della notte. Ed io stavo per entrarvi.

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